mercoledì 22 settembre 2010

L'Ultima Corsa



L'aria quasi ti taglia la faccia per quanto stai andando veloce. O almeno così ti sembra. Le gambe si sentono piuttosto stanche, ma per quest'ultimo tratto sono ben contente di spremersi. Il tamburo che hai nelle orecchie è il tuo cuore che pompa sangue, nelle tue vene, nelle tue arterie, alla pressione di mille atmosfere. O almeno così ti sembra. Hai il fiato corto, il petto ti brucia. Una voce nella testa ti rassicura: tranquillo, sono solo i polmoni, che tra un pò scoppieranno. Senti che ogni tuo muscolo sta lottando per avere un briciolo di ossigeno in più. Ti fa male la schiena, e ti fanno male i piedi, chiaro segnale del fatto che le scarpe sono decisamente da cambiare. Prima di fermarti l'hai voluto fare, lo scatto finale. Sei stanco, ma non te ne importa niente. La tua testa sta già pensando a quello che dovrai fare quando sarai tornato, ma in questo momento non te ne importa un fico secco. Ne hai abbastanza di tutto e tutti. Ci sei solo tu che corri per dare fondo a tutte le tue risorse, per prosciugarti, per finire tutte le scuse che ogni volta ti dai. Un attimo prima dello schianto l'hai sentito, quel desiderio di bruciante di consumarti e di non lasciare tracce. L'hai sentito nella tua gola mentre si prosciugava e chiudeva. Con falcate sempre più ampie fino alla massima estensione, i muscoli sono alimentati solo dalla tua rabbia. Per un secondo pensi che potresti correre fino in capo al mondo se solo fossi sufficientemente arrabbiato. Ma non è così. Arrivi ad un limite in cui la rabbia finisce, in cui non riesce più a farti andare avanti. Ed è quello il momento più bello, quello in cui finisci la rabbia.
La corda si è spezzata, niente può trascinarti, così piano piano deceleri e ti fermi. Hai il fiatone, e nient'altro. Solo quello ti è rimasto. Un principio di soffocamento che piano piano svanisce, si quieta, e lascia il vuoto.
Quel tipo di vuoto che riempie.
Torni a casa che non sei triste e non sei felice. Non hai preoccupazioni, la mente sgombra. Galleggi.
Nel tratto del ritorno apprezzi la consistenza del tuo respiro e ti accorgi che non ti è mai piaciuto così tanto respirare.

martedì 21 settembre 2010

Prison Break


E' da qui dentro che vi parlo, dalla mia angusta tana all'interno della prigione. Una fortezza a prova di fuga.
La prigione in questione, quella in cui sono rinchiuso, non esiste.
E' questo il motivo per cui è così difficile fuggire. Non ha sbarre, non ha celle, non ha guardie. Non ha nemmeno un perimetro di alte mura e filo spinato.
Nessuna pesantissima porta blindata. Non ci sono punti di riferimento al suo interno.
In realtà, non ha interno.
Da questa galera non posso scappare, però questo non significa che ogni tanto non ci provi. Sò che altre persone sono rinchiuse, le sento, le vedo, ma non sono lì con me. Li vedo dentro la gabbia, non sò se loro vedono me. Tutti quelli che come me sono rinchiusi si dibattono e si disperano. Se te lo vuoi immaginare, è come uno dei gironi infernali. Burroni di rocce taglienti, fiamme cocenti che fanno indietreggiare. Sagome umane, sporche e incatenate, che si lamentano e si trascinano.
Sono da solo in tutto questo. In questa prigione posso muovermi liberamente, ed è proprio questo il motivo per il quale non posso andarmene. Ovunque io vada, sono sempre e comunque in trappola. Non c'è posto in cui non possa andare, stranamente però sono sempre dentro. Con fatica ho cercato molte volte un cunicolo per scappare e, quando ho creduto d'averlo trovato, l'ho imboccato, ma non sapevo che l'uscita era sempre la gattabuia. Anni passati tra rancore e tristezza, anni interi spesi ad escogitare piani di evasione per lasciarmi dietro la gabbia. Non potevo sapere che al di fuori della prigione c'è sempre la prigione.
Alcune volte, ero convinto di essere evaso, ero contento di aver trovato la libertà, fino a quando non sbattevo di nuovo la faccia contro le sbarre.
Sbarre che non suonano di metallo quando le batti.
Sbarre di fumo.
Sbarre che non esistono.
Sono rinchiuso in questa prigione perchè mi ci sento rinchiuso.
Non ci sono piantine o planimetrie di questo posto, è un labirinto che muta, che cambia i propri corridoi in base a dove mi sposto.
La prigione eterea.
La prigione eterna.
Non mi resta che provare un'ultima volta. L'ultimo azzardato tentativo di fuga di un prigioniero stanco. L'unica cosa che mi resta ancora da provare è di smettere di voler scappare.
Chissà, magari questa volta ci riesco.

lunedì 20 settembre 2010

Zazen


Seduto su due cuscini, gambe incrociate,
schiena dritta ma non rigida,
mani posate sulle ginocchia.
Con occhi chiusi, adagiato nella posizione,
il terzo occhio osserva l'insito essere.
Non pensare che sia difficile,
non pensare che sia utile,
non pensare,
siediti e fallo!

domenica 19 settembre 2010